Censis, sfiorita la ripresa economica gli italiani adesso si sono incattiviti
Presentato venerdì il cinquantaduesimo rapporto dell’Istituto con poche luci e molte ombre, abbiamo smarrito la fiducia e non riconosciamo più miti e divi. Boom dei single
C’è una parola chiave che il Censis sceglie quando presenta il suo rapporto annuale. Quest’anno è: la cattiveria.
E viene dopo il rancore del 2017. Ci rende cattivi l’economia che non decolla, il patto sociale che si è rotto, l’ascensore sociale che non funziona: meno di un italiano su 4 (il 23%) pensa di avere una situazione socio economica migliore di quella dei propri genitori. Di più: il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle con basso reddito sono convinte che la loro condizione non cambierà mai. Così come il 56,3% di tutti gli italiani pensa che le cose nel nostro Paese non sono affatto cambiate. Ed è difficile farle cambiare quando abbiamo smarrito anche i miti, gli eroi, forse anche i santi. Un italiano su due (il 49,5%) è convinto che chiunque può diventare famoso, basta internet, e dunque i modelli a cui ispirarsi non servono più.
Il «sovranismo psichico»
Al Censis adottano spesso frasi e perifrasi per descrivere la nostra situazione sociale, il nostro sentire anche politico. Quest’anno è la volta del «sovranismo psichico» usato per raccontare la nostra subordinazione mentale alla ricerca di un sovrano autoritario a cui chiedere stabilità. Questo sovranismo psichico è il risultato della cattiveria che gli italiani provano, un sentimento che si basa su un ascensore sociale che si è rotto o, forse, non ha mai funzionato.
Non crescono i salari
Forse basterebbe un solo dato a riassumere la crisi di un’Italia dove l’economia non soltanto non decolla ma è stagnante da davvero tropo tempo: in 17 anni il salario medio degli italiani è aumentato di 400 euro l’anno, che poi sarebbero 32 euro se calcolati su 13 mensilità. Un paragone con i vicini europei? In Francia nello stesso lasso di tempo si sono trovati oltre 6 mila euro in più l’anno, in Germania quasi 5 mila.
Pessimisti e ostili
È facile capire come tutto questo generi un pessimismo che si è strutturato negli anni. Il Censis ci dice che oggi più di un italiano su tre, il 35,6%, è pessimista perché scruta l’orizzonte con delusione e paura e soltanto il 33,1% ha un po’ di ottimismo. Facile capire anche come a fronte di tante difficoltà venga spontaneo cercare un capro espiatorio.
C’è un’ostilità diffusa verso lo straniero nel nostro Paese: più di sei italiani su dieci (il 63%) la dichiarano apertamente, contro il 52% della media europea. Di più: in Italia il 45% è ostile anche verso gli immigrati comunitari, e quasi il 60% è convinto che tra dieci anni nel nostro Paese non ci sarà un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse.
I politici tutti uguali
Siamo cattivi e disincantati, dunque. Non solo miti e santi, ma nemmeno i politici ci ispirano più: per il 49,5% degli italiani i politici sono semplicemente tutti uguali, ma questo purtroppo lo pensa il 73 dei giovani under 35. Del resto lo si vede nelle urne: in cinquant’anni, dal 1968 ad oggi, gli astensionisti si sono triplicati (passando dall’11,3% al 28,4%) e oggi sono un popolo di 13,7 milioni alla Camera e 12,6 milioni al Senato.
Un mondo di single
Ci si sposa sempre meno e ci si separa sempre di più. Insieme al patto sociale, l’Italia registra la rottura delle relazioni affettive stabili. Dal 2006 al 2016 i matrimoni sono diminuiti del 17,4% e le separazioni sono aumentate del 14%. Aumenta la «singletudine»: le persone sole non vedove negli ultimi dieci anni (dal 2007 al 2017) sono aumentate del 50% e oggi sono più di 5 milioni.
«Lavoro, lavoro, lavoro»
«Abbiamo visto sfiorire la ripresa e l’atteso cambiamento miracoloso non è stata una palingenesi», dice Massimiliano Valerii direttore generale del Censis, spiegando come l’Italia sia anche «orfana di una narrazione forte entro la quale costruire la nostra identità e radicare il nostro benessere». Oggi purtroppo prevalgono «una coscienza infelice, una speranza senza compimento». E Valerii si chiede: da dove e da cosa ripartire, per poi rispondersi, senza alcun dubbio: «lavoro, lavoro, lavoro».
7 dicembre 2018